KEITE HARING IN MOSTRA AL PALAZZO REALE DI MILANO a cura di Antonio Castellana







KEITE HARING IN MOSTRA AL PALAZZO REALE DI MILANO
                a cura di Antonio Castellana

“Io lavoro, con concetti, idee, immagini universali ma non con archetipi o stereotipi. Io lavoro su cose che appartengono all’esperienza comune, alla conoscenza di tutti. Le mie immagini non vengono dall’inconscio ma solo dall’informazione visiva, e sono più istintive che interiori. Ma soprattutto sono dell’esperienza comune”.

L’artista della Street-Culture Newyorkese Keite Haring con la sua abilità di disegnare con un’unica linea continua è diventato un’icona del graffitismo mondiale. Lo troviamo a Palazzo Reale di Milano dal 21 febbraio al 18 giugno con la mostra “ Keite Haring  ABOUT ART”. 110 opere alcune mai esposte ed inedite, di grande formato che rivelano le sue passioni dall’archeologia alle arti precolombiane fino ai maestri del Novecento come Pollock, Dubuffet, Klee. E lui, che si era formato sui disegni di cartoni animati ispirati a Walt Disney, che gli faceva il padre da bambino, per gioco, ora nelle sale di Palazzo Reale sarà presente con tutta la carica di energia cromatica e lineare di cui è stato capace. L’esposizione è stata organizzata dal Comune di Milano in collaborazione con Keith Haring Foundation, e il Sole 24 ore cultura, ed è curata da Gianni Mercurio. Le 110 opere presenti rappresentano un’occasione unica per apprezzare un genio della linea e del colore che seppe interpretare e portare al massimo valore simbolico l’arte dei pittori di strada, quell’arte spesso disprezzata e condannata, e che pure ha dato grandi artisti. Ma la visita alla mostra è anche l’impatto con un linguaggio imprevedibile e inatteso, frutto di una full immersion nel mondo del figurativismo delle avanguardie e dell’astrattismo americano Visitarla significa apprezzare uno degli artisti più originali del secondo dopoguerra, capace di raccontare con le sue figurine le lotte per i diritti umani, contro le forme del razzismo, e contro ogni evento segnato da abuso e di violenza sull’uomo, persino, paradosso massimo, contro il propagare dell’aids, lui che di aids poi è morto. «Non si esce vivi dagli anni ’80» cantano gli Afterhours nell’omonima canzone, non sempre però queste parole sono esatte e veritiere. Seguendo questo presupposto, nel corso degli anni, l’arte si è rinnovata e non ha perso mai tempo e occasioni, dunque oggi sforziamoci di ricercare quell’angolo, muro, spazio desolato di paese dove c’è un graffito e domandiamoci della sua origine. Sicuramente proviene dalla fantasia di un giovane writer, questo linguaggio pittorico che ancora oggi divide la società fra favorevoli e contrari la troviamo agli inizi degli anni 80 a New York, la capitale dell’arte mondiale, la Grande Mela è la fabbrica delle mode, della cultura che piace alla gente facoltosa, è la culla della nuova generazione stravagante, le gallerie ed i salotti culturali, per diversi decenni, sono state vere fucine dell’arte, hanno fatto sorgere, fra i viottoli della metropoli, nuove idee e linguaggi figurativi.
Negli anni ’80 il panorama artistico newyorchese accoglie la Street Art: il padiglione espositivo, questa volta, non è più il salone di una galleria, ma la strada di un quartiere. Se da una parte c’è la società benestante che vive la quotidianità in maniera confortevole, che riesce a stabilire relazioni con gran facilità, dall’altra c’è la sfera costituita dall’emarginazione sociale ed ideologica, e il graffitismo è il grido della nuova classe giovanile emarginata, che rifiuta il conformismo sociale. Il nuovo linguaggio, costituito da segni, simboli e fugacità di esecuzione, apre un nuovo orizzonte creativo. Sono gli anni di Keith Haring. Nel 1978 si sposta a New York a studiare alla School of Visual Arts, in questi anni, a fare di lui un grande pittore creativo non è solo la formazione artistica, ma anche, potremmo dire soprattutto, il contatto con la società newyorchese.
Keith si immerge in questo nuovo mondo, fatto di bellezze e tensioni sociali, vive le nuove esperienze culturali, le assimila e le riproduce. Mentre è al lavoro, non viaggia con il pensiero alla ricerca di mondi fantasiosi, ma guarda a ciò che ha intorno a , rielaborando il tutto in chiave singolare, così dice:


La Biografia di Keith Haring
Keith Haring nasce a Reading, Pennsylvania, il 4 maggio 1958. Sin da piccolo mostra uno spiccato interesse per il disegno, incoraggiato e ispirato dal padre disegnatore di cartoni animati. Terminato il liceo si iscrive all’Ivy School of Professional Art di Pittsburgh ma, avendo capito che non è quella la sua vera inclinazione, dopo due semestri lascia la scuola e gira per il Paese. Tornato a Pittsburgh continua gli studi e lavora per mantenersi all’Università. Nel 1978 ottiene la possibilità di esporre i suoi disegni in una personale al Pittsburgh Arts and Crafts Center. Nello stesso anno lascia Pittsburgh per trasferirsi a New York ed entra alla School of Visual Arts (SVA). A New York, Haring trova un ambiente totalmente diverso da quello di Pittsburgh; qui esiste una comunità di artisti che rifugge i luoghi istituzionali come gallerie d’arte e musei e vive e si incontra nei bassifondi, nei quartieri della downtown, sotto alla metro. In questo ambiente, in cui artisti, writers e musicisti condividono le stesse idee, incontra Kenny Scharf and Jean-Michel Basquiat e diventa loro amico. Negli stessi anni comincia la sua produzione di writer, per la quale verrà anche spesso arrestato, e partecipa alle mostre al Club 57. Da qui alla fama il passo è breve, ben presto il maestro del graffitismo Keith Haring viene conosciuto e apprezzato ovunque e le sue opere vengono esposte in tutto il mondo. Nel 1986 apre a New York il primo Pop Shop, a cui ne seguiranno altri, in cui non solo è possibile comprare i disegni dell’artista ma anche vederlo all’opera dal vivo. La sua vita è all’insegna del divertimento e della promiscuità; è amico e collabora con molti artisti e performers come Madonna, Grace Jones, Andy Wharhol e Yoko Ono. Nel 1988 gli viene diagnosticato l’AIDS e nel 1989 fonda la Keith Haring Foundation che, anche dopo la sua morte, si occupa dei diritti dei bambini e della lotta all’AIDS. Keith Haring muore il 16 febbraio 1990, sconfitto dall’HIV a soli 31 anni. Nella sua pur breve vita è riuscito a creare un linguaggio universale, che ha saputo attrarre un vastissimo pubblico grazie al carattere popolare e alla potente energia.
Keith Haring: le Opere
Così descriveva la sua arte Keith Haring in un’intervista del 1983 e le sue parole ben ci spiegano l’essenza delle sue creazioni. La fortuna sua e di quello che è stato da alcuni definito il movimento degli “american graffiti” risiede innanzitutto proprio in questo carattere popolare. Differenza delle contemporanee esperienze di arte pop che, in contraddizione con quanto espresso nel nome, erano spesso esperienze elitarie, il linguaggio di Haring è autenticamente popolare. Il suo intento è stato sempre quello di esprimersi in modo universalmente riconoscibile e comprensibile. Per ottenere il suo scopo, Haring si è servito di immagini molto semplici e comuni, potremmo dire anche primordiali, come animali o persone. I suoi sono semplici disegni, segni grafici che si mostrano per quello che sono, senza significati nascosti. Il loro compito è quello di prendere una superficie neutra qualunque e trasformarla, donarle espressività e personalità attraverso la loro energia. Le sue opere hanno effettivamente saputo dare vita ai supporti più disparati, a cominciare dai vagoni della metro, nelle prime esperienze da writer. Da lì più di 100 esposizioni in tutto il mondo, alternando le sperimentazioni con collage e performances visive, ai suoi più classici omini che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Oltre a quelle visibili nelle mostre, molte sono le grandi opere pubbliche che realizza in giro per il mondo e che traducono in immagini il suo attivismo politico e sociale. Nel 1985 Elio Fiorucci lo chiama per realizzare dei graffiti nel suo negozio in quella che si trasforma in una performance dal vivo durata un giorno e una notte. Nel 1986 dipinge sul muro di Berlino dei bambini che si tengono per mano e un murale slogan contro l’utilizzo del crack ad Harlem. Nel 1987 è chiamato a decorare un’area dell’Ospedale Necker di Parigi. Poi di nuovo in Italia, a Pisa, dove nel 1989 realizza il murale a tema pacifista Tuttomondo, vicino alla Chiesa di Sant’Antonio abate.
Antonio Castellana critico d’arte